La Rivincita della Fotografia Analogica
Spazio Chirale News • 6 maggio 2018
L‘avvento delle tecnologie digitali, tra la fine degli anni ’90 e la prima decade del nuovo millennio sembrava aver decretato la definitiva scomparsa delle vecchie tecnologie analogiche.
Per alcune di queste, in realtà, la tanto annunciata fine non è mai veramente arrivata, è il caso della carta stampata e soprattutto dei libri, per altre come i dischi in vinile il crollo delle vendite è stato progressivo ma più lento del previsto, mentre nel caso della fotografia la morte sembrava essere sopraggiunta inaspettata e improvvisa.
La maggior parte di noi dopo aver scaricato sul proprio PC la prima serie di foto scattate con una macchina digitale da 5 Mega Pixel ha semplicemente dimenticato nella vecchia “analogica” il suo ultimo rullino, ritrovato casualmente dopo 20 anni, ancora parzialmente esposto.
La qualità, l’immediatezza del risultato e la facilità d’intervento in post produzione del nuovo mezzo digitale oramai rendevano superata la vecchia pellicola e sembrava non ci fosse realmente più alcuna ragione per continuare ad usare i processi analogici, con buona pace dei nostalgici della Camera Oscura.
Aziende come la Kodak, che pur già si stava preparando alla transizione al digitale, sono state colte impreparate. Il crollo delle vendite è stato così improvviso che marchi storici come Ilford e l’Italiana Ferrania, che all’epoca produceva in liguria tutte le pellicole con brand minori per mezzo mondo, hanno seguito la Kodak e aperto le rispettive procedure fallimentari.
Se fino ad oggi non vi siete più interessati alle pellicole fotografiche e come molti pensate che la fotografia analogica sia oramai una disciplina storica con tanto di reperti da museo, forse quello che stiamo per raccontarvi vi sorprenderà.
Se siete scettici, sappiate che dall’inizio del 2018 tutti i nostri Workshop dove si vive in prima persona l’intero processo della fotografia Analogica hanno registrato il tutto esaurito e sono tra i più richiesti del nostro catalogo.
E’ di pochi giorni fa l’annuncio da parte della Kodak (ebbene sì, esiste ancora!) della reintroduzione sul mercato della celebre pellicola in bianco e nero TMax P3200, una delle più veloci e versatili emulsioni monocromatiche in voga negli anni ’90. Si tratta di un prodotto tecnologicamente migliorato rispetto a quello d’origine e che segue la reintroduzione sul mercato delle storiche TriX 400, TMax 100 e Tmax400 e delle pellicole a colori della serie Portra e Ektar.
Nel comunicato stampa di lancio della rinata P3200 si precisa che si tratta di una scelta di marketing per rendere completo il proprio portafoglio di prodotti a fronte di un mercato che oramai è indubitabilmente in decisa crescita.
Proprio così, il mercato delle pellicole analogiche sta vivendo una fase di decisa e sensibile espansione, e la cosa più interessante è che non si tratta di vecchi nostalgici che sono tornati a praticare la vecchia arte fotografica con rullino e sviluppi chimici, ma i nuovi consumatori sono prevalentemente giovani, nati nell’era digitale, che sperimentano la fotografia analogica per la prima volta nella loro vita.
Vi sono molte testimonianze in questo senso, basti pensare al grande successo che ha avuto la romana Ars-Imago, dinamica azienda composta esclusivamente da giovani che ha fatto della fotografia analogica, ed esclusivamente analogica, il proprio business. Nel loro negozio nel quartiere Prati di Roma è possibile trovare praticamente la maggior parte dei nuovi prodotti, spesso di aziende come la francese Bergger nata quando già la fine dell’analogico sembrava nell’aria.
Il trend positivo nelle vendite sta sorprendendo anche chi su questo elemento ci aveva scommesso, con iniziative imprenditoriali come quella dei due fiorentini che hanno ridato vita al marchio Ferrania. Provate a cercare un rullino di Ferrania P30, oramai roba da mercato nero a prezzi esorbitanti. Ogni nuovo lotto che esce dalle linee di produzione riattivate in scala ridotta in Liguria, nella sede storica del Laboratorio di Ricerca e Sviluppo della ex grande Ferrania, viene esaurito in pochi minuti sul sito di e-commerce statunitense. Non sappiamo se arriverà nuovamente in Europa.
Anche la già citata Bergger non è da meno, sembra che il prossimo rullino di Pancro400 sarà possibile acquistarlo solo a partire da luglio 2018. Nello Spazio Chirale ne abbiamo ancora uno in formato 120 ma abbiamo paura ad usarlo. Per ora lo conserviamo nel caveau assieme alla collezione di macchine fotografiche dell’800.
Ma qual’è il motivo di questo fenomeno?
Il giornalista e saggista statunitense David Sax fornisce una risposta convincente e basata su attente analisi di mercato nel suo libro del 2016 The Revenge of Analog, dove oltre alla fotografia analizza con attenzione anche il mercato musicale, della produzione cartaria e di altre industrie legate alle tecnologie analogiche.
In poche parole la tesi di Sax è semplice. Acquistiamo prodotti analogici perché semplicemente soddisfano bisogni che non sono coperti dai prodotti digitali, anche se analoghi. Sax definisce la nostra epoca come “era post digitale”. Dopo aver smaltito la sbornia della digitalizzazione in tutti gli aspetti del nostro tempolibero, la società moderna semplicemente sta riscoprendo i prodotti analogici, la maggior parte dei quali permettono la fruizione di un’esperienza che coinvolge quasi tutti i nostri sensi, e in molte situazioni questo è più appagante.
In tutti i casi analizzati vengono identificati i tipici consumatori e i propri bisogni. Quando e perché usiamo la fotografia?
La fotografia congela e mantiene i nostri ricordi: per le istantanee lo smartphone e la foto digitale sono la soluzione ottimale. La fotografia è usata da reporter, fotografi pubblicitari, fotografi commerciali e di eventi: il workflow digitale è più efficace, pratico, ha la migliore qualità e quindi è la soluzione ideale.
Pratichiamo la fotografia per diletto artistico, ci appassiona il processo creativo, siamo artisti visuali: la fotografia analogica permette di espriemere la propria creatività con un processo artigianale, unico ed irripetibile che spesso coinvolge tutti i sensi. In questo caso la fotografia analogica è il prodotto ideale.
Lo sanno bene gli studenti che hanno partecipato ai nostri workshop, uno dei concetti ricorrenti nei commenti di fine corso è il piacere provato nel perdere la cognizione del tempo. La Camera Oscura ha i suoi tempi, i suoi ritmi, i suoi odori e maleodori, il liquido sgocciola, il buio è un alleato e nel buio si affinano gli altri sensi. Ma l’esperienza è partita ancora prima, con il fruscio della pellicola che dalla bobinatrice passa al rullino, il click di una reflex analogica è più complesso di quello di una digitale. Le immagini non le puoi vedere subito, scatti e ciò che pensi di aver catturato è solo nella tua testa fino al giorno dopo, quando finalmente, dopo una catena di azioni nella quale ogni singolo errore può compromettere per sempre il risultato finale, l’immagine appare sulla carta nel liquido amniotico del bagno di sviluppo. In Camera Oscura non c’è il tasto “undo” e nemmeno il tasto “Save”. Quello che alla fine della giornata hai appeso ad asciugare sulla corda è un lavoro unico, irripetibile. Puoi rifare tutto il procedimento ma non sarà mai uguale. L’uomo non è una macchina.
Uscendo dall’esperienza dell’intero processo dello fotografia analogica, dallo scatto all’alchimia dello sviluppo e stampa, risulta chiaro che il mercato delle pellicole e prodotti da Camera Oscura non potrà che restare vitale per lungo tempo. Il progresso tecnologico sarà un progresso che migliorerà, come già sta migliorando, i prodotti analogici.
Pensare il contrario è come pensare che non ci sarà più mercato per colori, tempere, tele e pennelli perché i pittori lavoreranno solo con Photoshop o Illustrator, e questo sappiamo già che non è vero.